Strani traffici sull’eredità del genio universale
Negli anni in cui si presume produce i disegni della Porta Nuova, dei quartieri militari e le cortine dallo scalo Regio a Porta Colonnella il Mazenta è reduce da una curiosa vicenda capitata negli anni giovanili a Pisa e che ancora portava i suoi strascischi. Tutto era cominciato anni prima, nel 1587, a Pisa, dove il Mazenta frequenta lo Studio Pisano come racconterà lui stesso molto più tardi nel suo prezioso studio “Le memorie su Leonardo da Vinci di Don Ambrogio Mazenta” poi ripubblicate ed illustrate da D. Luigi Gramatica prefetto della Biblioteca Ambrosiana a Milano da Alfieri e Lacroix nel 1919.
Sono gli anni in cui inizia la dispersione dell’inestimabile patrimonio leonardesco. Dopo la morte dell’allievo prediletto del Grande Maestro, Francesco Melzi, avvenuta nel 1570, il lascito di studi, carteggi schizzi a lui affidati dallo stesso Leonardo finisce agli eredi del Melzi, che “molto diversi di studi e di impieghi e perciò lo neglessero e presto lo dispersero“.
Il figlio di Francesco, Orazio Melzi, non sembra dare molto valore a quelle carte ne regala o cede parti di quel formidabile archivio a prezzi stracciati. Fu così che tra il 1585 e il 1587 Lelio Gavardi d’Asola, preposto di San Zeno a Pavia e dello stampatore veneziano Aldo Manuzio, nonché precettore di casa Melzi, riesce a sottrarre dalla villa dei Melzi a Vaprio d’Adda, 13 manoscritti. C’è chi dice che dietro a questa manovra in realtà ci fosse proprio Orazio Melzi, desideroso di mettere a frutto, a proporre l’affare al Gavardi!
Il piano è quello di venderli al Granduca Francesco I°, da molti conosciuto come «quel principe voglioso di simil’opere…». Era nota la passione e le attività di ricercha di antichi testi voluta fortemente con spedizioni di agenti speciali e molte somme di denaro, dal Granduca Francesco.
Quindi nel 1587 Lelio Gavardi si reca a Firenze dove purtroppo lo coglie la notizia della malattia e dell’improvvisa morte del Granduca Francesco. L’affare sembra sfumato! Ma il Gavardi non si perde d’animo. Si porta a Pisa, dove tiene cattedra di retorica Aldo Manuzio il giovane, nipote del celebre Aldo. Il piano ora è cambiato: si poteva proporre l’acquisto proprio al famoso tipografo-collezionista che I Gabvardi conosceva tramite un contatto col nipote. Il giovane Aldo Manunzio in quegli anni frequentava il Mazenta ed altri (…) e deve aver coinvolto l’amico e collega Mazenta a lui familiare nel circolo pisano, Cosi il Mazenta entra in gioco ed avanza degli scrupoli al Gavardi che, morto il Granduca e non sapendo più cosa fare di quei codici, sottratti o probabimnete ceduti in “conto vendita”, deve essere stato confuso. Alla fine convenendo col mazenta che la non restituzione dei manoscritti sarebbe ai più sembrato un «mal acquisto» finì per acconsentire alla richiesta dello stesso Mazenta che si era fatto avanti con l’impegno di rilevare i volumi sotratti per retstiruirli a Orazio Melzi, una volta terminati gli studi di Pisa e tornato a Milano.
Cosi fu. Sembra infatti che tre anni dopo, nel 1590, il Mazenta tornato a Milano onori l’impegno e si presenti con i manoscritti a Orazio Melzi che «si maravigliò ch’io avessi preso questo fastidio e mi fece dono de’ libri dicendomi d’haver molt’altri disegni del medesimo Auttore, già molt’anni nelle case di Villa sotto de tetti negletti». Il Mazenta narra di un facile mercato dell’eredità di scritti, disegni e fra tutti spicca la figura di Pompeo Leoni figlio del Cavalier Leone già allivo del Buonarotti, scultore prediletto di Filippo II di Spagna, che nel proprio palazzo di Milano (in via degli Omenoni) aveva radunato una preziosa raccolta di oggetti d’arte e raccoglierà più tardi nel Codice Atlantico i fogli e i disegni di questa ricca incetta. La vicenda sembra concludersi con i tredici manoscritti che, grazie alla donazione di Orazio Melzi, restano nelle mani di Mazenta.
Quali erano i codici del Mazenta e che fine hanno fatto?
I manoscritti rimasti in possesso del Mazenta non restano molto nelle sue mani. Alcuni sono inizialmente donati dal Mazenta ai fratelli. Ma non passa molto tempo che Orazio Melzi torni a farsi avanti. Convinto dal Leoni a reclamare dal Mazenta ciò che era stato maldestramente donato, incalzato e adulato dalla promesse del Leoni su una carriera politica nel senato milanese e sui lauti guadagni ricavabili dalla vendita dei volumi al re di Spagna, il Melzi riuscì dopo molte insistenze a riappropriarsi di 7 dei 13 volumi del Mazenta, che vennero subito ceduti al Leoni. Altri 3 volumi furono donati a Federico Borromeo, Ambrogio Figino e Carlo Emanuele di Savoia. Gli ultimi tre finirono alla fine nelle mani del solito Pompeo Leoni, forse banalmente venduti da Guido Mazenta (fratello di Giovanni Ambrogio). Nel 1608 muore Pompeo Leone e i fogli di Leonardo tornano ancora una volta vicino a casa Medici, del resto sono ancora una delle faamiglie piu facoltose d’Europa. Cosimo II° de Medici (figlio di Ferdinando) si vede offrire dal figlio del Leoni, Giovan Battista, disegni e manoscritti vinciani fra cui “un libro di 400 fogli circa, e li fogli sono alti più di un braccio e in ogni foglio sono diversi disegni incollati di macchine d’arte segrete, e d’altre cose di Leonardo detto”. (Gli esperti dicono che è evidente che trattarsi del Codice Atlantico creato dal Leoni. Ma anchw questa volta i codi non riescono ad approdare a Casa Medici Cosimo II° rifiuta l’acquisto, sconsigliato da Giovan Francesco Cantagallina, ingegnere e pittore alla corte medicea.
Nel 1530 Francesco Melzi aveva raccolto nel Libro di Pittura 18 manoscritti leonardeschi forse seguendo una promessa al suo maestro. 6 sono stati identificati: A, E, F, G, L, il Trivulziano e un foglio del codice Windsor.
La questione se alcuni di questi fossero poi finiti nei manoscritti posseduti dal Mazenta è ancora aperta. Bisogna aggiungere che Le Memorie furono scritte dal Mazenta in vecchiaia quasi mezzo secolo dopo l’episodio dei manoscritti ottenuti da Lelio Gavardi, poi lasciati al Mezenta in dono dal Melzi e poi da quest’ultimo ripretesi.
Il Mazenta inoltre non fa chiarezza su quali fossero i tredici libri e la descrizione fattane non ne consente una precisa identificazione.
I Codici ricompaiono nel 1622, quando Galeazzo Arconati acquista una parte del tesoro vinciano dal genero di Pompeo Leoni Polidoro Calchi, marito della figlia Vittoria Leoni. Arconati nel 1637 dona la sua raccolta, dopo aver rifiutato l’offerta di 3.000 scudi imperiali di Spagna da Carlo I di Inghilterra, alla Biblioteca Ambrosiana. Nella sua donazione troviamo il Codice Atlantico, 11 manoscritti leonardeschi e il De divina proportione di Luca Pacioli con i disegni di Leonardo. Accostarli o identificarli con quelli posseduti dal Mezenta non è facile.
Poi arriverà Napoleone…